“I commercianti – spiega una nota – sono andati in pensione di vecchiaia – in media – a 66,5 anni nel 2016.“Resta stabile l’età media per la pensione di vecchiaia e sale quella per la pensione di anzianità”.
Secondo i dati diffusi dall’Inps, nel periodo gennaio-giugno 2016, l’età media totale di pensionamento è risultata essere, nel Fondo pensioni lavoratori dipendenti, di 65,1 anni per la pensione di vecchiaia (lo stesso livello del 2015) e di 60,4 anni per la pensione di anzianità/anticipata (contro 59,9 del 2015).
“I commercianti – spiega una nota – sono andati in pensione di vecchiaia – in media – a 66,5 anni nel 2016 e a 66,4 anni nel 2015, mentre per la pensione anticipata i valori sono stati di 61,4 anni per il 2016 e di 61 anni per
il 2015. Per la gestione autonoma Coltivatori diretti mezzadri e coloni, l’età media totale di decorrenza della pensione è – per il primo semestre 2016 – di 69,7 anni per la vecchiaia e di 60,4 per l’anticipata, mentre per il 2015 stata, rispettivamente, pari a 68,2 e 59,9 anni”.
“Per gli artigiani – prosegue – l’età media di pensionamento per il 2016 è di 66,1 anni per la vecchiaia (66,3 nel 2015) e di 60,9 anni per l’anticipata (60,4 anni per il 2015). I Infine, per quanto riguarda i Parasubordinati, dobbiamo considerare la sola pensione di vecchiaia, con un’età media alla decorrenza di 68,9 anni per il primo semestre 2016 e di 67,9 anni per il 2015″.
Il presidente Inps Tito Boeri, in un’audizione al Senato, è poi intervenuto su famiglie e licenziamenti: “La delega al Governo per riordinare e potenziare le misure a sostegno dei figli a carico – ha detto – ha il chiaro obiettivo di contrastare la povertà, avvantaggiando le famiglie con figli minori e redditi bassi e medio-bassi. Allo stesso tempo, però, a meno di non prevedere meccanismi di correzione, introduce disincentivi al lavoro rischiando di scoraggiare la partecipazione del coniuge e del lavoratori a basso reddito, con effetti potenzialmente negativi sulla partecipazione femminile al mercato del lavoro“.
“A differenza degli assegni familiari – ha proseguito – quelli al nucleo familiare e alle famiglie con almeno tre figli minori, le misure previste dalla delega tendono ad aiutare anche chi non lavora e non è coperto da alcun ammortizzatore sociale“. Secondo Boeri, a questo riguardo “si nota una incoerenza nelle condizioni di accesso ai benefici. Infatti, mentre per la nuova misura l’accesso è condizionato al reddito Isee, nel caso degli istituti che vengono mantenuti in vita il riferimento continua a essere, per le detrazioni, il reddito del singolo percettore e, per gli assegni, il reddito familiare, senza tener conto in alcun modo della composizione della famiglia, del reddito complessivo e della componente patrimoniale”.
Boeri ha aggiunto che “l’impatto sarà anche influenzato dalla distribuzione delle risorse tra la nuova misura e quelle esistenti, oltre che dall’ammontare delle risorse aggiuntive che potranno essere destinate a questa riforma. Nel ddl vengono previsti 4 miliardi a decorrere dall’anno successivo dall’entrata in vigore della riforma, mentre nelle nostre stime abbiamo ipotizzato una riforma a costo zero per la finanza pubblica“.
Il presidente dell’Inps ha suggerito alcune correzioni. Per esempio, considerato che “la riforma migliorerebbe le proprietà distributive degli assegni al nucleo familiare, permettendo a queste misure di essere maggiormente concentrate su famiglie a basso reddito e che al contempo ridurrebbe gli incentivi alla ricerca di lavoro (soprattutto nel caso in cui i trasferimenti o gli sgravi dovesseri ridursi bruscamente al di sopra di una data soglia di reddito) è opportuno che la legge delega non specifichi in modo troppo rigido le soglie di reddito e la fascia di reddito in cui si opera la riduzione del beneficio, ma lasci queste decisioni all’esercizio delle delega”.
Boeri ha poi proposto di procedere “in modo integrato nel riordino dei trattamenti a sostegno dei nuclei familiari nell’introduzione di una misura nazionale di contrasto alla povertà“. Il mancato coordinamento tra questo due tipi di interventi sarebbe fonte di sprechi – ha concluso – e potrebbe accentuare i disincentivi alla ricerca di lavoro, ponendo in essere di fatto tasse marginali molto alte per chi accetta impieghi a bassi salari“.
A margine dell’ audizione in Commissione Finanze al Senato ha aggiunto: “Daremo dei dati più specifici sui licenziamenti a inizio settembre, li stiamo approfondendo, cosa che prima non veniva fatta”.
Il presidente ha ricordato che “nel 2015 c’è stato un calo molto forte dei licenziamenti, circa del 12% e che si sta assistendo a una diminuzione delle cessazioni, che però non includono solo i licenziamenti”.