“La scelta di Genova non è stata casuale. Abbiamo voluto, per la nostra Assemblea annuale, un luogo in cui i riflettori si sono spenti poco dopo l’emergenza, sperando così di contribuire a riaccendere l’attenzione. Vorremmo che questa città, che negli ultimi anni è stata ripetutamente e violentemente martoriata dal dissesto idrogeologico e dalle alluvioni, diventasse un simbolo, una metafora. La metafora di un’Italia che è finita troppe volte nel fango, che ha vissuto troppe emergenze e che vuole cambiare. Che si vuole rialzare. Un’Italia fatta di imprese, per la maggior parte piccole, molte della quali a conduzione familiare. Una realtà spesso ignorata, composta da oltre 4 milioni di imprese, che generano il 15% del Pil italiano e danno lavoro a 7,5 milioni di addetti. Più del pubblico impiego”.
Queste le parole di apertura dell’intervento del presidente di Confesercenti Massimo Vivoli all’Assemblea annuale che ha dato il benvenuto all’Assemblea 2015 di Confesercenti ringraziando la platea di imprenditori e rivolgendo poi un caloroso saluto al Presidente della Repubblica ” del quale voglio richiamare la funzione di Garante della Costituzione, in particolare dei diritti delle imprese e del lavoro” – ha detto.
“Vorrei ringraziare il ministro della Difesa, Roberta Pinotti, per aver accettato il nostro invito ed il ministro dell’Ambiente, Gian Luca Galletti che interverrà in video. Un ringraziamento particolare va poi a Genova, la città che ci ospita, al Sindaco Doria e agli amici della Confesercenti di Genova e della Liguria, che hanno dato un notevole contributo all’organizzazione di questa nostra Assemblea” – ha aggiunto il presidente di Confesercenti.
“Queste imprese che – prosegue Vivoli – anche quando sono travolte dall’acqua e dal fango, non si arrendono e lavorano per ricostruire. E trovano la forza per rifare tutto da capo, di ricominciare. Le testimonianze dei nostri colleghi ci hanno commosso. Quanto accaduto a Genova non è un evento isolato.Il territorio d’Italia, impoverito e calpestato da decenni di incuria e speculazione, è spesso tragicamente ferito dalle conseguenze del dissesto idrogeologico. E si ripetono le catastrofi: in Emilia questo febbraio, a Genova lo scorso anno. Sardegna nel 2013, Maremma nel 2012, nel 2011 Messina e ancora Toscana e Genova. L’incuria ci costa cara: il solo dissesto idrogeologico ha causato danni a strutture ed infrastrutture per 50 miliardi di euro negli ultimi 20 anni. La strada della messa in sicurezza del territorio sarà lunga. E le imprese devono essere messe in condizione di affrontare eventuali emergenze, dando loro la certezza di un sostegno tempestivo. E di una gestione del post emergenza che non sia un incubo burocratico. Perché anche le inerzie contribuiscono a rendere più faticosa la vita alle imprese, e a disperdere risorse che potrebbero rimanere nelle tasche di famiglie ed imprenditori. Le richieste di rimborso hanno avuto sempre solo una risposta parziale e non sono mai stati considerati i danni legati all’inattività. Lunghissimi anche i tempi di erogazione in media superiori ai sei mesi. Nonostante tutto, il 95% delle imprese liguri ha ripreso a lavorare. Ma poi si è trovata ad affrontare un vero e proprio caos sulle scadenze per i pagamenti fiscali. ”Per questo la Confesercenti ha avanzato al Governo l’idea di sottoscrivere un protocollo per gli interventi di emergenza. Questo protocollo – sottolinea il leader Confesercenti – rappresenta il nostro impegno a farci interpreti e sostegno del mondo delle piccole e medie imprese, chiamate oggi alla sfida della ripresa. Vogliamo ripartire da qui, per affermare con forza che il domani del nostro Paese poggia proprio sulle piccole imprese. Sulla loro capacità di caratterizzare il territorio, di essere vicine ai cittadini, di creare occupazione e di svolgere una funzione sociale. Sulla loro forza, che ha permesso di resistere alla crisi economica, alle maglie strette del credito, al peso schiacciante del fisco, ai disastri naturali. I dati sulla natalità e mortalità hanno raccontato per anni le difficoltà della piccola impresa.
Ma noi abbiamo un’informazione in più che questi dati non forniscono. Un’informazione, un segnale potente che ci viene direttamente dalle imprese. É la voglia di cambiamento. Per ripartire, per recuperare il terreno perduto, per uscire da una crisi troppo lunga e troppo dura. Abbiamo dovuto attendere il 2015 per vedere, finalmente, qualche segnale di risveglio della nostra economia. Ma si è trattato di una ripartenza lenta e squilibrata. L’inversione di tendenza c’è, ma non è stata ancora percepita dalle PMI.
Da un’indagine che abbiamo condotto sugli imprenditori italiani, emerge che il 51% delle imprese si trova ancora nella stessa situazione dello scorso anno e che il 31% ha registrato un ulteriore calo. Solo il 17% ha rilevato segnali di ripresa. Ma non basta. Ora dobbiamo lavorare per uscire dal clima di continua emergenza. Dobbiamo farlo tutti insieme, uniti. Dobbiamo rimboccarci tutti le maniche per sgomberare i detriti della crisi e ricominciare. Come hanno fatto i cittadini genovesi per sgombrare case ed imprese dal fango. Non abbiamo alternative.
Non dimentichiamo che i numeri dell’economia che cementano il Paese sono quelli delle tasche dei cittadini e degli imprenditori, soffocati da anni di recessione e di insostenibili politiche fiscali. Il potere d’acquisto degli italiani, dal 2012, si è ridotto di altri 10 miliardi, nello stesso periodo i consumi sono calati di 12 miliardi.
Una situazione che ha pesato enormemente sul tessuto produttivo. Soprattutto sulle imprese più piccole: oggi in Italia, rispetto al 2007, ci sono oltre 300mila imprese individuali in meno. Sono dati che fanno rabbrividire e che speriamo restino per sempre alle nostre spalle.
Dobbiamo essere consapevoli, però, che l’economia italiana è ancora malata e che la cura non sarà di breve durata. Il Governo Renzi è l’ultimo arrivato, ed ha ricevuto un’eredità difficile. Per questo abbiamo scelto un approccio responsabile e non demagogico.
Non abbiamo esitato in questi mesi ad esprimere le nostre critiche ed i nostri plausi con coerenza ed autonomia.
Abbiamo valutato positivamente, ad esempio, il Bonus di 80 euro, che sicuramente è stata una ‘stampellà che ha impedito un ulteriore ripiegamento della domanda delle famiglie. Ma ribadiamo la necessità di estenderlo.
In questi mesi, in questi giorni, i segnali positivi sono stati oscurati da indicatori di segno contrario. L’ultimo in ordine di tempo, il calo della produzione industriale. Tant’è che famiglie ed imprese, allo stato attuale, sono ben lungi dal riconoscere una ripresa più volte annunciata, ma ancora non percepita. Ed ogni giorno gli italiani sono costretti a leggere sui giornali di mala gestione, centinaia di milioni di euro di risorse pubbliche bruciati dalla corruzione e dalla cattiva politica. Tutto questo induce alla rabbia, alla sfiducia ed all’allontanamento dalle istituzioni.
C’è l’esigenza di una svolta etica che riguarda tutti. Non è da Paese civile convivere con l’illegalità, la corruzione e lo scempio quotidiano di regole e diritti di chi lavora davvero. É un’esigenza forte come quella di una svolta sul piano economico. In questi anni, il mondo delle imprese indipendenti, e più in generale del lavoro autonomo, ha sofferto moltissimo, lasciando sul campo, dal 2007, 475 mila persone.
Quasi mezzo milione di lavoratori che hanno interrotto nel corso di questi anni le loro attività e non hanno potuto contare su alcuna forma di protezione sociale e di sussidio contro il rischio della disoccupazione.
Una crisi nella crisi, rimasta costantemente nell’ombra. Offuscata dai dati più generali e preoccupanti dell’aumento del tasso di disoccupazione. Come nell’ombra sono rimasti centinaia di migliaia di giovani in attesa di un lavoro. Molti dei quali hanno preferito lasciare l’Italia per andare a cercare opportunità all’estero.
Dobbiamo fermare questa emorragia – ammonisce Vivoli - La Confesercenti ha sempre onorato gli impegni assunti nei confronti dei lavoratori occupati nelle nostre imprese e con i sindacati che li rappresentano. Non ci fa certamente piacere la situazione di stallo che si è venuta a creare per il rinnovo dei contratti di turismo e terziario. Alcune norme contrattuali sono anacronistiche e vanno superate. Oggi, però, la priorità è far sì che le imprese non chiudano e che riescano a mantenere intatti i livelli occupazionali. I lavoratori delle nostre imprese sono un patrimonio che per primi vogliamo valorizzare e sostenere, ma non possiamo farlo a scapito della tenuta aziendale e, quindi, dell’occupazione stessa. Anche perché siamo convinti che è proprio sul campo del lavoro che si giochi la partita della ripresa della nostra economia. La crisi ha comportato un deterioramento generale della situazione lavorativa, soprattutto per i giovani. La riforma previdenziale, per rispondere all’emergenza finanziaria, ha creato un ulteriore ostacolo al ricambio generazionale. Il rapido innalzamento dell’età pensionabile ci ha portati ad avere quasi un milione di occupati in più, fra i 55 ed i 64 anni, di quanti ne avremmo avuti senza riforma. Un vero e proprio muro all’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro. Che rimangono ai margini, mentre assistiamo ad un sempre più rapido invecchiamento della forza lavoro attiva. Già oggi, nel commercio e nel turismo, un lavoratore su dieci è un over55. E non è finita. Nel 2020, quando l’età pensionabile italiana sarà la più alta d’Europa, l’effetto sull’occupazione giovanile sarà ancora più dirompente. Dobbiamo quindi sbloccare subito la situazione, introducendo meccanismi di maggiore flessibilità in uscita. Da più parti si sta cominciando a discutere di un ammorbidimento delle regole previdenziali che vada a vantaggio delle nuove generazioni. Noi vogliamo dare un contributo: proponiamo di inserire all’interno dei contratti di settore una misura per la staffetta generazionale. Un intervento che permetta di far andare in pensione in anticipo un lavoratore anziano per assumere al suo posto un giovane. Bisogna tener conto che il futuro, per i nostri settori di riferimento, è denso di opportunità ma anche di sfide. Il turismo è l’esempio più calzante. Siamo di fronte ad un’occasione storica per il comparto, con un contesto internazionale di ripresa e due grandi eventi – Expo e Giubileo, in apertura e a fine anno – che possono fare da traino.
Per approfittare dell’occasione, dobbiamo investire di più sulla promozione, anche e soprattutto sui mercati esteri. Anche in questo caso, però, dobbiamo imparare a governare meglio le situazioni di emergenza. Come quella infrastrutturale. Come si può pensare di rilanciare ai massimi livelli mondiali il turismo italiano se non investiamo in questo settore basilare? C’è poi da gestire, con il massimo sforzo, l’emergenza immigrazione, che sta avendo effetti deleteri sulle attività commerciali e turistiche di alcuni territori.
Siamo stati lasciati soli dal resto d’Europa a gestire un flusso di uomini, donne e bambini, sempre più intenso e sempre più disperato, grazie all’impegno continuo e generoso delle forze dell’ordine, delle forze armate, delle istituzioni e degli stessi cittadini. Ma le nostre richieste d’aiuto per gestire questa realtà non hanno avuto risposte. Ricevendo addirittura chiusure e rifiuti come é avvenuto a pochi chilometri da qui, a Ventimiglia.
E sole sono state lasciate anche le imprese che spesso, per effetto di questi enormi flussi migratori, in alcune delle zone a più alta vocazione turistica del Paese, hanno visto compromesse le loro attività.
Una problematica che si va ad aggiungere ad uno scenario già tutt’altro che positivo nel settore del commercio. La piccola ripresa dei consumi riguarda soprattutto i beni durevoli; ed è comunque insufficiente a rimediare al crollo degli ultimi anni.
Il mercato sta andando verso una radicale trasformazione. Lo sviluppo dell’economia digitale, l’affermazione dell’E-Commerce, l’emergere di nuovi processi produttivi diffusi, stanno cambiando profondamente le forme distributive di merci e servizi.
In questo nuovo contesto, le imprese individuali e microimprese avranno un ruolo da protagoniste. Ma porre le basi per una valorizzazione del lavoro indipendente e di impresa deve diventare una priorità.
Il Paese ha bisogno di cambiare e le riforme debbono essere efficaci. Non dobbiamo inseguire il cambiamento in quanto tale, ma il cambiamento che serve. Avere intrapreso la strada delle riforme è molto importante.
Diamo atto all’esecutivo di essere intervenuto con efficacia sul mercato del lavoro. La decontribuzione sta concretamente sostenendo la stabilizzazione dei contratti dei lavoratori e ponendo le basi per una ripresa dei livelli occupazionali. Un unico grande appunto è il mancato allargamento degli sgravi contributivi anche alle imprese turistiche stagionali.
Ma c’è un’altra riforma che ci sta particolarmente a cuore: quella fiscale. Dai nostri studi risulta al primo posto tra gli interventi più attesi dalle imprese. Abbiamo chiesto al Governo di procedere velocemente all’approvazione dei decreti di attuazione della delega fiscale. Ma la delega da sola non basta, perché mira più a razionalizzare la situazione esistente che a ridurre il peso delle imposte. Non esiste alternativa efficace alla riduzione dell’imposizione fiscale. Altrimenti, pochi avranno la possibilità di investire sulle proprie imprese e bassissimo sarà l’interesse per il nostro Paese da parte degli investitori stranieri. La pressione complessiva del fisco si è attestata ormai stabilmente intorno al 44%, quella reale (al netto del sommerso) supera il 55%. Dal Governo sono arrivate a più riprese rassicurazioni che non ci saranno manovre fiscali correttive, e che anche le clausole di salvaguardia non saranno attivate. Lo speriamo davvero. In questo momento, più che mai, le nostre imprese hanno bisogno di risorse da investire per ripartire. E invece, si trovano a fare i conti con un sistema fiscale percepito come fondato sulla gabella, che legittima il pignoramento dei conti correnti da parte di Equitalia, strozzando le piccole imprese e i piccoli lavoratori autonomi, come se l’evasione sistematica provenisse dalle PMI e non da posizioni di rendita e malaffare di ben altre dimensioni. Le risorse necessarie per contenere il peso del fisco – non ci stancheremo mai di ripeterlo – vanno trovate nella revisione della spesa pubblica, a partire dall’enorme quantità di sprechi presenti a tutti i livelli istituzionali ed in una efficace lotta all’evasione. Per certi versi, la situazione del nostro Paese appare davvero paradossale: si sono indubbiamente effettuati dei tagli, ma alcune voci di spesa continuano a crescere. Si tagliano i trasferimenti agli enti locali, senza però ridurre le entrate a livello centrale.Allo stesso tempo, gli enti locali non riescono a recuperare in efficienza e fanno fronte a quei tagli con aumenti delle imposte locali, delle tasse, delle tariffe.
Ci sono ormai troppi oneri amministrativi, troppi costi impropri, troppi dazi, imposte e gabelle. Siamo il Paese con i livelli di tassazione più elevati, avviluppato in una vera e propria Babele fiscale.
Vogliamo pagare, ma spesso non sappiamo come, dove e quanto! L’unica certezza è che sanzioni e costi amministrativi sono stratosferici. Noi non accetteremo più che le famiglie e le imprese continuino ad essere dissanguate.
Non tollereremo più che si continuino a bruciare enormi quantitativi di ricchezza. Si proceda velocemente sul versante delle società partecipate: sono ancora 8mila e perdono un miliardo di euro l’anno. Vanno adeguatamente riconsiderate. In questo senso, il disegno di legge sul riordino delle partecipate, attualmente in discussione in Parlamento, contiene molti elementi positivi e potrebbe portare a realizzare un risparmio di 3 miliardi di euro. Che aspettiamo?
Conti pubblici a posto sono la condizione necessaria ad un fisco sostenibile ed adeguato a garantire il funzionamento del Paese. Un fisco che non metta alle corde famiglie ed imprese e che non soffochi sul nascere il ritorno alla crescita. In questo momento, la stragrande maggioranza delle imprese del commercio, del turismo e dei servizi è in ginocchio. Eppure possiamo e dobbiamo farle rialzare, così come vogliamo contribuire a cambiare in meglio il nostro Paese. Non lo possiamo fare da soli, ma possiamo farlo per primi. Sul piatto della bilancia del rapporto col Governo noi mettiamo tutto il nostro impegno, auspicando che l’Esecutivo faccia altrettanto. Proponiamo un patto per la ripresa fatto di cose concrete e tangibili. Un’azione sinergica che possa restituire fiducia alle famiglie ed agli imprenditori, spingendo questi ultimi ad investire, creando opportunità per chi è senza lavoro, in particolare giovani e donne. Un patto per il rilancio e lo sviluppo delle piccole e medie imprese, costruito con il concorso delle categorie economiche e sociali, della cultura economica più autorevole delle nostre università, del sistema finanziario. La nostra disponibilità per la staffetta generazionale è il primo elemento che mettiamo sul piatto. In secondo luogo, offriamo di impegnarci profondamente per aiutare l’esecutivo a trasformare il rapporto tra fisco e imprese. Siamo favorevoli, senza se e senza ma, alla totale trasparenza, perché i troppo furbi non vanno tollerati. Per questo abbiamo detto sì all’invio telematico dei corrispettivi e allo scontrino digitale. Crediamo nello strumento e metteremo in campo tutta la nostra forza per sostenere l’intervento. Dall’altra parte, però, chiediamo al Governo provvedimenti che riducano al minimo gli oneri, e che pongano un freno all’aumento del numero di adempimenti. Con la stessa forza e con la stessa convinzione diciamo sì ai Pos in tutte le attività e alla tracciabilità delle transazioni commerciali. Basta però a provvedimenti inutili, costosi ed inefficaci. Rottamiamo finalmente lo scontrino fiscale e debelliamo l’evasione, evitando interventi contradditori che hanno il puro sapore della demagogia. Come il tetto all’utilizzo dei contanti. Possiamo andare all’estero con 10 mila euro in contanti, ma in Italia non ne possiamo usare più di mille per acquisti. Chiediamo invece al Governo provvedimenti che riducano al minimo la commissione sull’uso della moneta elettronica. Vogliamo un sistema che premi le imprese che lavorano in trasparenza. Per loro meno oneri, più certezza, tempi di accertamento ridotti. È anche così che possiamo debellare l’Italia dei furbetti. Il fisco non è l’unico campo in cui abbiamo bisogno di una svolta. C’è ancora tanto da fare, in molti settori. A cominciare dalla semplificazione, al secondo posto tra le urgenze segnalate dalle imprese: fin quando non si comprenderà che il vero tallone d’Achille di questo Paese è l’eccesso di burocrazia, nessun Governo sarà in grado di mantenere fede alle parole con i fatti. Oltre ad avere costi pubblici enormi, la burocrazia alimenta il distacco e la sfiducia dei cittadini e delle imprese verso le istituzioni. Occorre sciogliere subito anche il nodo del credito: nonostante gli interventi, i finanziamenti alle imprese continuano a diminuire: 117 miliardi in meno negli ultimi 4 anni. Anche in questo caso a soffrire in modo più accentuato sono le imprese più piccole, che senza credito si trovano nell’impossibilità di rilanciare la propria attività, come invece sarebbe opportuno in questo momento.
Il sistema bancario deve fare di più: ma bisogna agire con più forza anche per mettere le banche nelle condizioni di lavorare meglio e con meno vincoli nell’erogazione dei finanziamenti. A proposito di credito, è curioso notare che la legge sul micro-credito assegni alle banche l’obbligo di garantire al beneficiario del prestito la formazione in gestione aziendale e informatizzazione. Insomma, il legislatore delega alle banche un impegno che invece il Governo dovrebbe fare proprio ed affidare alle associazioni delle imprese. Una contraddizione che testimonia quanto poco attenta sia la politica nei confronti dei bisogni delle PMI.
Eppure la formazione ci è chiesta persino dall’Europa: l’educazione ad essere imprenditore è uno dei punti fondamentali del piano di “Azione Imprenditoria 2020”, pensato per accrescere la competitività delle imprese, soprattutto delle piccole e medie.
La formazione è prevista anche dallo Statuto delle Imprese. Statuto di cui chiediamo a gran voce il rispetto, visto che viene sempre disatteso, anche se nessuna Authority ha mai denunciato inadempienze. Eppure l’autorità si è molto spesa per difendere la liberalizzazioni degli orari di apertura delle attività commerciali voluta dal Governo Monti. Una liberalizzazione dannosa, che ha creato un regime di concorrenza insostenibile per i piccoli e da cui non hanno tratto vantaggio neanche i giganti della grande distribuzione, oggi in sofferenza. Una norma distorsiva, che altera il mercato. Ma la nostra battaglia prosegue: noi non molliamo. Non abbandoniamo neanche la richiesta di un maggior impegno contro l’abusivismo. In giro per l’Italia ci sono oltre 60mila abusivi, dalla ristorazione al commercio. Se consideriamo anche i fenomeni di concorrenza sleale, questo mondo sommerso genera un fatturato di 13 miliardi di euro. Una distorsione del mercato di proporzioni incredibili, che non può e non deve essere più tollerata. Come distorti sono ancora i tempi della giustizia. Abbiamo apprezzato il lavoro del Governo sulle riforme del sistema societario, così come apprezziamo, considerandola indispensabile, l’attivazione dei ‘tribunali per le imprese’. Ma i tempi della giustizia sono ancora in forte distonia con quelli delle imprese. Tempi troppo lunghi nelle controversie, al di là del merito, rischiano di vedere soccombere sempre le imprese più piccole.
“Quello che chiediamo, alla fine, è che le nostre imprese siano messe in condizioni di competere, di crescere e di svilupparsi – conclude Vivoli – Solo così potremo avere una piena ripresa dell’occupazione a beneficio non solo dei giovani, ma dell’intero Paese. In questi ultimi tempi si è parlato molto del ruolo delle parti sociali. Siamo una di queste, siamo in prima fila. Siamo convinti da sempre del valore della rappresentanza e del dialogo con il Governo. Un dialogo utile a tutti, e che ha dato tanto a questo Paese. Le parti sociali devono essere ascoltate. Noi siamo pronti e chiediamo di essere giudicati per quello che facciamo e diciamo. Così come, nel rispetto dei reciproci ruoli, giudichiamo l’azione del Governo.
Siamo convinti che la democrazia fondi le proprie basi sulla pluralità e diversità delle rappresentanze. Così come restiamo convinti che chi, come noi, rappresenta le imprese, debba favorire le possibili alleanze.
Lo abbiamo dimostrato con Rete Imprese Italia un interlocutore ormai consolidato che continua a confermare la centralità della sua presenza nel contesto politico e che tutti noi abbiamo il dovere di valorizzare. Per quanto mi riguarda, lavorerò in questa direzione e sono sicuro che i miei colleghi faranno altrettanto.
Per rilanciare l’Italia, dobbiamo lavorare tutti insieme: istituzioni, forze politiche, parti sociali, Regioni e Comuni. Non solo per delineare strategie, ma per individuare interventi precisi e concreti di politica economica che consentano al nostro Paese di risolvere i nodi che ancora ci frenano e di tornare, finalmente, a crescere.
L’Italia ce la può fare. Noi ci crediamo e siamo pronti a fare la nostra parte, chiedendo al Governo di fare la sua. Un Paese il cui Governo non è in grado di ascoltare il sentimento e le richieste delle realtà economiche e sociali, e quindi caratterizzato da una costante conflittualità, non andrà lontano. Che ci attenda un percorso irto di difficoltà è noto a tutti. Ma per superarlo, possiamo contare su un capitale d’inestimabile valore: gli italiani che continuano a fare il proprio dovere, e che sono la maggioranza. Gli italiani che sono delusi dalle Istituzioni ma che non hanno mai perso l’orgoglio di essere cittadini di questo Paese.
A questa Italia dobbiamo e vogliamo rispondere. Perché è la vera ricchezza del nostro futuro. E intendiamo farlo con la forza della concretezza e non delle parole. La stessa forza che stanno dimostrando cittadini ed imprese di Genova, che si sono scrollati dal fango per rimboccarsi le maniche e ripartire. Li abbiamo visti rialzarsi, li abbiamo aiutati a farlo, siamo stati con loro e continueremo ad esserci. É quello che sappiamo fare, che vogliamo fare: batterci al fianco di chi continua a credere che si può, si deve voltare pagina”.